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Č un libro terribile, questo. Un libro scritto da un pensatore profondo, un uomo deportato e torturato ad Auschwitz, che torna e ritorna su quella indicibile sofferenza ("chi č stato torturato resta tale"), e che si porta dentro un carico di male che lo tiene per tutta la vita in stretta contiguitŕ con la morte. "La tortura č stata per lui una interminabile morte", scriverŕ Primo Levi. Č un libro scritto da chi ha giŕ deciso e puň permettersi di abbandonare la logica della vita per avvicinarsi al gesto definitivo di levare la mano su di sé, di darsi la morte volontariamente, osservandolo dall'interno, sino in fondo "sin dove puň giungere la parola". Č questo che rende unico questo scritto: rendersi conto che chi uccide e chi viene ucciso sono la stessa persona, vanificando cosě ogni logica, demolendo la dicotomia tra vita/bene e morte/male, rendendo l'atto estremo - che l'autore compirŕ due anni dopo aver pubblicato questo libro - una disperata affermazione di libertŕ, completamente slegata da ogni giudizio morale.